Manifesto

Mariantonia Urru1 dà alla tessitura molteplici significati: legare passato e presente, innovazione e tradizione, intesa come tradizione del fare. Mariantonia Urru2 guarda al futuro, mantenendo una qualità di prodotto e di artigianato che appartiene al passato e che costituisce un grande patrimonio dal valore tecnico e culturale. Mariantonia Urru3 apre le porte alla collaborazione con designer internazionali, affiancandoli nella ricerca di soluzioni tecniche e sostenendone i diversi risultati formali. Mariantonia Urru4 intende promuovere il territorio facendo della condivisione delle conoscenze e della comunicazione la base del proprio percorso innovativo.

Intervista

Chi è Mariantonia Urru?
Mariantonia Urru è una donna. È un’imprenditrice e una madre. È una famiglia e un laboratorio tessile. È la tradizione della nostra terra cui diamo nuova vita contaminandola con la sensibilità del presente e le applicazioni dei nostri futuri clienti. Mariantonia Urru sono io.
A 14 anni la mia prima opera, realizzata con la tecnica a un’in dente, da allora non ho mai smesso, e quando i figli sono cresciuti abbastanza ho potuto aprire il laboratorio che porta il mio nome. Era il 1981 e il più piccolo aveva già sei anni. Ora mi chiamano scherzosamente “mastro tessitore”… ma sono sempre io, e ogni giorno ho scoperto che ho tanto da imparare.

Una donna imprenditrice in un paese dell’entroterra Sardo… è un’eccezione la tua?
Direi di no… non è stata una traiettoria di rottura, ma piuttosto un’esperienza in continuità con la biografia di tante famiglie… Qui molte imprese sono nate dall’intraprendenza delle donne. Negli anni ’80 in ogni famiglia c’era almeno una partita iva e due diverse attività, una più agricola, seguita dagli uomini, mentre l’arte tessile, un campo femminile. D’altro canto il matriarcato, per quanto in parte una leggenda, è un tratto distintivo della civiltà sarda.

Cos’è Samugheo?
È la nostra casa, la sede del laboratorio tessile. È un paese di quasi 3.400 anime in provincia di Oristano, nel cuore della Sardegna. È culla di una tradizione tessile antichissima, quella sarda, trasmessa di generazione in generazione nel corso dei secoli, fino a farsi industria.
Oggi è un distretto tessile, che ospita 20 laboratori industriali. E un centro culturale. Qui ha sede il Murats, Museo Unico Regionale Arte Tessile Sarda e ogni anno organizziamo Tessingiu, mostra dell’artigianato Sardo, che ha raggiunto la 50^ edizione. Quando ero bambina non era così, Samugheo era isolata dagli altri paesi, per proseguire negli studi avrei dovuto spostarmi a Oristano, sono solo 40 km, ma allora era impensabile… 

Quanto ha influito la tessitura sulla possibilità di connettere Samugheo?
La tessitura è in ultima istanza un mezzo di comunicazione e noi abbiamo scelto di utilizzarlo per comunicare col mondo. Per raccontare quello che è stata e quello che può essere la Sardegna. E lo facciamo tessendo relazioni nel mondo, comunicando attraverso i tappeti e le collezioni. È un’isola, la nostra, percepita nel sentire comune come una terra chiusa e isolata, ma in verità ha ospitato quattromila anni fa una civiltà, quella nuragica, che unificava le genti della Sardegna e le connetteva ai popoli circostanti… quasi diecimila torri di pietra, almeno una ogni 3 km quadri. Significava mettere in comunicazione in tempo reale ogni punto dell’isola, connettere il territorio al suo interno e facilitare gli scambi con l’esterno. Ecco, per noi tessere significa riattivare questa rete, la rete dei nuraghi, per tessere relazioni con il mondo.

Fai riferimento a quella Nuragica, una civiltà misteriosamente scomparsa millenni fa e a una tradizione, quella tessile, fatta di tecniche antichissime… Lo sguardo non è troppo rivolto al passato?
Certo, è proprio questo il punto. Il simbolo del nostro laboratorio è MU: Mariantonia Urru. È anche il nome di un continente scomparso, come Atlantide, che affonda le sue radici nella leggenda. A noi piace pensare che MU, o Atlantide, fosse in realtà la Sardegna ai tempi della civiltà nuragica, che avrebbe subito un irrimediabile tracollo per via di una catastrofe naturale, uno tsunami che inondò la fertile pianura del Campidano, ponendo fine a un’età dell’oro fatta di scambi commerciali e culturali con le altre civiltà del mediterraneo. Ma le tradizioni e i tratti più profondi di quella civiltà sarebbero sopravvissuti nei secoli, tramandati di generazione in generazione. Affondiamo le radici in questa tradizione, che riprendiamo con nuovi progetti per restituire una terra che è il contrario dell’immagine sedimentatasi nell’immaginario collettivo, di isola chiusa in sé stessa: Mariantonia Urru fa conoscere la tessitura sarda in ambito internazionale.

Nel laboratorio ci sono anche i tuoi figli…
Sì, mi hanno seguita tutti e quattro. Il primogenito Gian Bachisio, poi Antonello, Giuseppe e il più giovane, Graziano. Si sono avvicinati all’attività da piccoli, ma credo che il passaggio fondamentale siano stati gli studi universitari. In tre hanno studiato ingegneria. Questa formazione e altre esperienze di lavoro precedenti sono state importanti per trasformare l’attività di famiglia in un laboratorio moderno, in un’azienda. Nei primi anni 2000 il mercato ha avuto un cambiamento repentino e i prodotti sui quali eravamo specializzati non venivano più richiesti. Ci siamo dati una nuova struttura, abbiamo affrontato il cambiamento di mercato, siamo stati in grado di cogliere nuove opportunità e di investire in nuove tecnologie.

L’innovazione tecnologica non è in contrasto con l’idea di artigianalità associata all’arte tessile?
No, anzi. È proprio il contrario. L’artigianato non è da intendersi come qualcosa di folkloristico, fuori dal tempo e dallo spazio della contemporaneità. L’artigianato può essere futuro. MU non fa tappeti seriali. Ogni giorno ci troviamo a progettare qualcosa di nuovo e questo fa sì che i nostri siano prodotti artigianali. Allo stesso tempo però è la continua ricerca di soluzioni originali che rende possibile restare interessanti per un mercato in evoluzione. La tecnologia è fondamentale in questo. L’artigianato deve essere aggiornato, contemporaneo e utilizzare i mezzi che in quel momento specifico la tecnologia mette a disposizione.

Come si concilia nell’attività di tutti i giorni l’artigianalità con l’innovazione e l’utilizzo della tecnologia?
Combinare manualità, meccanica e informatica non sottrae fascino al manufatto finale, anzi lo arricchisce. Oggi, ad esempio, le creazioni dei designer vengono riportate al computer prima di iniziare la tessitura e questo permette di gestire disegni più complessi e sofisticati che in passato. Oggi abbiamo 25 telai, alcuni manuali, altri dove i tessitori operano con pannelli touch screen. Questo ci permette di combinare diverse tecniche, diversi materiali, diversi livelli.

Da dove nasce la necessità di combinare tecniche e materiali diversi?
È un’opportunità piuttosto che una necessità. Permette di esaltare la collaborazione con i designer. Non è così scontato riuscire a dar vita alla creazione di un artista, in un manufatto unico e allo stesso tempo riproducibile. Noi partiamo dal risultato che vogliamo ottenere, e ragioniamo a ritroso fino a risalire al principio, alla materia prima. In questo processo le tecniche e la tridimensionalità della tessitura sarda sono un elemento facilitatore. Le tecniche sarde, soprattutto il Pibiones, hanno una tridimensionalità, che noi esaltiamo realizzando il manufatto su più livelli. In Mediterraneo, disegno con il quale la designer Paulina Herrera ha vinto il primo premio nel concorso DIART 2015, il concetto dell’opera è una riflessione sui rapporti tra le diverse culture che si affacciano sul mare Mediterraneo, restituita attraverso un contesto marino attraversato da diversi pesci. Il flusso è rappresentato da una fascia blu, tessuta a Pibiones, che viaggia da una sponda all’altra, attraversando il mare. Il mare è tessuto a Litzos con un filato formato da tre materiali: lana, lino e cotone. La composizione del filato a base di tre materiali e la tridimensionalità dei punti, disposti in maniera apparentemente aleatoria, donano riflessi luminosi vibranti che ricreano la lucentezza ondeggiante della superficie marina. 

Quale materia prima utilizzate? Come la scegliete?
Utilizziamo lana, cotone, lino e seta, ma anche fili di metallo per alcuni progetti sperimentali. La scelta dei fornitori è un aspetto di fondamentale importanza, che seguo personalmente. Non facendo produzioni seriali abbiamo bisogno di una materia che dal punto di vista qualitativo sia perfetta, e con caratteristiche che possano essere esaltate dai nostri telai e allo stesso tempo esaltare i disegni. Per quanto riguarda la lana, che alimenta l’80% dalla nostra produzione, seguo tutta la filiera. A partire dalla raccolta, che avviene esclusivamente in Sardegna.
Un nostro tecnico seleziona la materia prima ancora negli ovili. Poi il lavaggio, la cardatura, la tintura e filatura vengono affidate a dei terzisti. Infine noi, partendo dal capo singolo del filato, facciamo dei blend abbinando diverse materie per ottenere un filato con caratteristiche uniche. Sperimentiamo sui filati mischiando fibre, colori, partendo da capi singoli di filati per ottenere sfumature diverse. Dei mélange. Questo ci permette di trovare soluzioni ad hoc per ogni singolo progetto.

Come nasce un vostro prodotto? La collaborazione coi designer internazionali come si inserisce? Non c’è il rischio di snaturare il forte legame con la tradizione e il territorio della Sardegna?
Le collezioni nascono dalla richiesta specifica di un cliente. I designer vengono coinvolti a partire da questa necessità, pertanto il disegno viene realizzato già pensando alla sua trasposizione in tappeto. Progettazione e industrializzazione sono processi che avvengono contemporaneamente, inscindibili. Fino alla realizzazione del prototipo, che rappresenta un punto di incontro tra il concept sviluppato dal designer e le soluzioni tecniche che mettiamo in opera. Questa fase è un’opera di mediazione e di scambio culturale. Di contaminazione, oserei dire. All’inizio della collaborazione, chiediamo al designer una vera e propria esperienza full immersion nella nostra terra. Soggiornano da noi, respirano l’aria, mangiano il pane, e bevono il vino di Samugheo, partecipano alle sagre e alle feste. Traggono ispirazione dalla natura e dal paesaggio… Solo così potranno trasmetterli nelle opere. Tutti i tappeti parlano del luogo dove sono stati prodotti, parlano la nostra lingua. In questa fase vivono in laboratorio con noi: incontrano me, i miei figli, le tessitrici che insegnano loro a tessere… perché acquisiscano l’alfabeto e i riti del linguaggio della tessitura. A questa prima fase segue poi la presentazione di una proposta e un confronto, innanzitutto con me, per capire quale sia il modo migliore di interpretarla. Ed è qui che noi ci mettiamo in discussione… per capire come realizzare la creazione del designer…. Suggeriamo le tecniche e i materiali da utilizzare, i filati, i livelli. Il tappeto è una scultura, che facciamo a quattro mani. Le nostre e quelle del designer. Questa mediazione porta a un prototipo, che realizzo personalmente su un telaio dedicato. 

Conclusa la fase di prototipazione, si passa alla produzione..
Sì certo. Qui c’è tutta la componente di artigianato… la produzione di un tappeto non è semplice riproduzione del prototipo: è il lavoro della tessitrice che lo interpreta e lo tesse. Ogni tappeto di MU è un pezzo unico. Una volta ultimato, viene ricamato a mano in seta il codice riportante il nome del designer, dell’azienda, della tessitrice, il nome della collezione e l’anno di produzione. Il codice e il manufatto vengono fotografati e archiviati, per una tracciabilità completa. Ogni tappeto riporta un certificato di autenticità che viene consegnato al cliente. 

Quanto tempo è necessario per diventare un tessitore?
Non è così semplice da dire… Dal 2002 Samugheo ospita l’indirizzo “Arte del tessuto, moda e costume” dell’Istituto Statale d’Arte di Oristano. Però qui tessere è un’arte che si impara respirando… i miei figli hanno imparato quando ancora andavano a scuola, il pomeriggio o d’estate durante le vacanze, quando venivano in bottega a trovarmi. Io ho imparato a casa a 14 anni, tessendo il mio corredo nuziale.
Però possiamo dire che con una settimana di affiancamento si possono imparare i rudimenti della tessitura ma le diverse tecniche, le materie prime, la complessità dei disegni… per diventare un bravo tessitore servono almeno 4/5 anni.

Quale è il tempo medio di fabbricazione di un vostro prodotto paragonato a un prodotto industriale?
Un tappeto di 5 metri quadri ha bisogno mediamente di 15 giorni. Un tappeto industriale delle stesse dimensioni viene realizzato in meno di un’ora. Ma la differenza sta nel processo di produzione più che nella differenza di esecuzione. I tappeti che facciamo non sono riproducibili industrialmente, non esistono macchine in grado di riprodurre le tecniche, i materiali, i colori. I tappeti monocolore, che utilizzano solo il Pibiones, potrebbero essere prodotti industrialmente. Ma gli altri no. L’intreccio delle tecniche rallenta i tempi delle macchine, che sono fatte per produzioni su larga scala. Si tratta di produzioni diverse, non concorrenziali.

È una linea sottile quella che state percorrendo, tra tradizione e innovazione. A farne le spese può essere la tradizione, che connota il distretto tessile di Samugheo…
Dipende da cosa si intende per tradizione. Se si intende qualcosa di cristallizzato, fermo e uguale a se stesso, immobile, è destinato a estinguersi. Perché la tradizione possa vivere, ha bisogno di quello che l’ha resa possibile: trasformarsi, innovarsi e mettere in comunicazione passato e presente, trovare nuovi spunti, accogliere punti di vista diversi. D’altronde le tecniche che abbiamo ereditato sono frutto di continue sperimentazioni fatte dalle generazioni precedenti, tante cose si sono perse, altre sono state tramandate, e a noi sono giunte proprio quelle che hanno saputo acquisire un nuovo significato agli occhi della generazione successiva.

I vostri manufatti sono pronti ad accogliere le sfide di un mercato internazionale?
Senza dubbio. Ma non solo. Credo che la nostra terra abbia tutti i presupposti per farsi portatrice di innovazione. D’altronde la Sardegna è stata a lungo terra di migranti. Che hanno visitato il mondo e portato con sé la Sardegna. Noi stiamo riportando nel laboratorio quello che hanno visto. Molti dei nostri designer sono di origine sarda, e mantengono con la nostra terra un forte legame affettivo, che può benissimo essere di ispirazione per altri designer e artisti, ma non solo. Dovremo essere aperti alle necessità di un mercato in continuo cambiamento e a una sensibilità degli artisti che incontreremo lungo il cammino, tutto questo metterà sicuramente in discussione quanto abbiamo acquisito e consolidato fino ad oggi. Se sapremo affrontare quello che ci aspetta, senza perdere la nostra identità, sapremmo mantenere la predisposizione al cambiamento, tratto distintivo del nostro DNA.

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Tecniche

La tecnica a Pibiones è realizzata mediante l’impiego di ferri attorno ai quali la grossa trama in lana viene avvolta a creare un ricciolo molto compatto, che ricorda un piccolo acino d’uva, che in sardo è detto, appunto, “Pibione”. Ne scaturisce un tessuto molto pesante e molto spesso, dai 5 ai 10 mm, a seconda delle dimensioni della trama e dei ferri, caratterizzato da un texture puntinata.

La tecnica Piana è realizzata con una trama supplementare, anch’essa molto grossa, che viene portata in rilievo per tratti più o meno lunghi, anche se generalmente non superiori a pochi centimetri per non compromettere la resistenza del tessuto. Si tratta di un tessuto più leggero e meno spesso rispetto al precedente, dai 3 ai 5 mm, a seconda del titolo di trama utilizzato, caratterizzato da una texture lineare.

Tutti i nostri tappeti sono realizzati a mano da tessitrici esperte che hanno acquisito la manualità necessaria a garantirne un alto livello di qualità, dato dalla regolarità e solidità degli intrecci della trama, in un periodo di apprendistato della durata di almeno due anni. Periodo in cui affinano la manualità necessaria per tessere i tappeti utilizzando una o entrambe le due tecniche tradizionali: Pibiones e Piana. Entrambe le tecniche sono realizzate con la lavorazione di una o più trame in lana molto grossa su una base costituita dall’intreccio semplice e regolare di sottili fili di ordito e trama in cotone, ma formano texture completamente diverse. La combinazione delle due tecniche, perciò, con la composizione e l’intreccio di campi a texture puntinate e lineari consente un’amplissima varietà di possibilità di effetti e di modalità espressive.